venerdì 20 marzo 2009

Forza Reggiana n.13 Reggiana-Monza 22/03/09. Non possiamo farci scappare i play off

Mi avete sentito domenica sera. L’ho ribadito, ancora più duro e convinto, lunedì. Venerdì l’ho scritto su Reporter. Basta, adesso basta. Anche gli allenatori, come i giocatori, hanno i loro momenti no. Alessandro Pane sta vivendo una piccola grande crisi d’identità. Due partite sballate, a Verona peggio ancora che col Novara. Ci può stare, ci mancherebbe. Sono convinto che se ne sia reso conto anche lui. Ma finiamola qui. Perché sarebbe ingiusto e ingeneroso verso un uomo che, io per primo, ho indicato come il vero artefice del miracolo granata. Del resto non si staziona stabilmente in zona paradiso con una squadra così così e senza attaccanti se alla guida non hai un signor generale. Oddio, solo Alessandro Magno si dice non abbia mai perso una battaglia in vita sua. Il nostro non è ancora Magno, ma dalla sua ha il nome di battesimo, Alessandro. Beh, è già un bell’inizio.
La pressione di battere il Monza – Io, quando sento parlare di pressione in casa Reggiana, lo sapete, mi viene da scompisciarmi dalle risate. Ma quale pressione? Due fischi piovuti dalla tribuna? Un paio di mail di critiche su Teletricolore? Un commento così così su un quotidiano? Ma va là. Però l’obbligo di piegare il Monza sì, quello c’è. Perché un misero punticino in tre pellicole è bottino troppo magro per una squadra che sembrava addirittura voler puntare al trono più ambito. E perché dopo il Monza andiamo a Ravenna, nella tana della squadra più tosta del momento. Bisogna riprendere il feeling col successo, ragazzi. Perché se è vero che io al primo posto non ho mai creduto, è altrettanto certo che non andarsi a giocare la roulette dei play-offs sarebbe a questo punto una delusione troppo grande. Una delusione che mi renderebbe amara un’estate che invece sogno da favola, tra un week-end alla Duna e la solita capatina al sole del Caribe.
Ma lo spogliatoio è solido? – Secondo me sì. Almeno finchè hai nel roster uomini col carisma di Vito Grieco e Paolino Ponzo. Però me lo lasciate in seno qualche dubbio tarlesco? Ambrosio, in primis. Come mai Tomasig, con tutto il suo candore, ammette nello spogliatoio di Verona che fin da sabato mattina sapeva che avrebbe vestito la casacca numero uno? E come mai Ambrosio resta a Reggio Emilia? La diarrea? Per carità, tutto normale. Ma perché la società non lo annuncia e permette a quattro quotidiani su quattro di uscire in edicola la domenica mattina con Ambrosio nell’undici titolare? Problemi di comunicazione, versante su cui questa dirigenza non ha mai peraltro brillato? Ci sta, mannaggia, però così non fai che irritare i giornalisti (a cui, peraltro, tre giorni prima hai chiesto collaborazione a prescindere nel remare tutti quanti dalla stessa parte) e alimentare qualche dubbio. Poi Dall’Acqua. Il bomber non vanta crediti da spendere, ci mancherebbe, però il muso lungo così all’ingresso sul prato verde del Bentegodi, beh, se ne sarebbe accorto anche Jerry del Grande Fratello. Poi mi immagino Bruno e Scantamburlo. Stanno bene, il secondo è stato a lungo uno dei pilastri della Regia che volava. Non sono dei robot. Hanno una testolina anche loro. E come me lo chiedo io, anche loro si domanderanno: ma perché il nostro allenatore fa giocare sulla corsia a noi cara uno che nella vita ha sempre fatto il mediano? E perché ci insiste? Forse perché il nome e il carisma di Padoin sono più corposi dei nostri?
Sono tutte senza soldi – La crisi economica è cosmica. Figuriamoci se non c’è nel calcio povero di Lega Pro. Oddio, quando penso che gente dai piedi a quadrello prendono quattro volte al mese più di un operaio specializzato e il doppio di un direttore di banca, beh, mi viene un coccolone. Però a sentire voci e rumors pare che davvero non ci sia più una lira. Il Venezia ha più punti di penalizzazione che euro nel salvadanaio. A Legnano si è temuti per un attimo di non arrivare a fine torneo. Voci strane arrivano da Ferrara. Voci ancora più inquietanti da Cesena. E a Busto Arsizio Toledo e Music, più che alla gara della domenica, devono pensare a dove dormire la sera e a che macchina prendere per andare a giocare in trasferta. Insomma, sono messi tutti da panico. Eppure nessuno pagherà. E’ un campionato falsato, ragazzi. Chi paga stipendi e contributi la prenderà nel popò, mentre a brindare saranno i soliti furbetti del quartierino. Partito a cui la Reggiana non appartiene di certo. Noi con gli stipendi siamo in pari. Noi non facciamo nero. Noi ospitiamo gli spallini ma non possiamo andare a Ferrara. Noi spendiamo 300 mila euro per mettere videosorveglianze e tornelli mega-elettronici al Giglio anziché comprare un centravanti da 10 gol, mentre c’è chi gioca in una laguna, chi tra quattro condomini e chi in stadi dove non entrerebbe manco un barbone del Bronx. Ma tant’è. Noi abitiamo nella cervellotica Reggio Emilia. Nella civile Reggio Emilia ormai priva di una sua benché minima identità.
La curva è morta? – Io voglio solo pensare che sia stata colpa della birra. Certo che la scazzottata tra tifosi granata allo stadio Bentegodi mi ha fatto male, molto male. Io, nato e cresciuto in curva Sud al Mirabello. Io, che col Ghetto me ne andavo a Tortona e a Trento ai tempi di Marchioro. Quando me l’hanno raccontata non ci volevo credere. Tifosi della Reggiana che prendono a sberle e calcioni altri tifosi della Reggiana. Non mi interessa sapere il perché. Non voglio manco sapere chi aveva ragione e chi aveva torto. Avevo solo chiesto tempo fa su questo giornale ai leader della curva, persone intelligenti, capaci e mature, checchè ne pensi chi le giudica per partito preso e per sentito dire, di mettersi davanti a un tavolo e trovare una soluzione. Il mio appello è caduto nel vuoto. Non è il primo. Non sarà l’ultimo. Ma non dovete farlo perché ve lo chiedo io, io che non conto un kaiser. Fatelo per la città a cui dite di tenere tanto. Siete rimasti uno dei pochi emblemi rimasti di una città che ci è sfuggita di mano. Volete buttare tutto nel cesso anche voi? Liberissimi di farlo. Però posso dire che sarebbe l’ennesimo ceffone ad una Reggio Emilia che non riesco più ad amare come un tempo. Un tempo che, ahimè, sembra una preistoria fa…
Enrico Lusetti

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